Vi è mai capitato di essere a 750 km da casa (Como), aver appena concluso una Gran Fondo (la GF Il Lombardia) e sentirvi dire che non tornerete a casa in macchina, e neanche in treno, ma che dovrete pensare a riempire un paio di borse da bikepacking Miss Grape, montarle velocemente sulla propria bici e rientrare pedalando?
E' ciò che può accadere quando ci si trova a stretto contatto con Omar Di Felice.
Quello che però, per lui, è pressoché la normalità (spesso mi ha raccontato di decisioni improvvisate, come quando, stufo di attendere il treno alla stazione di Piacenza, montò le ruote della bici, caricò tutto in uno zaino e partì alla volta di Cortina d’Ampezzo pedalando su una Mountain Bike, per un totale di 450 km) per me era un viaggio apparentemente senza fine…
Nonostante mi stia avvicinando alla disciplina dell’Ultracycling, mosso proprio dalla curiosità di seguire da vicino Omar (da quest’anno sono infatti tesserato per la sua Academy e ho già partecipato ad alcuni eventi della durata di 24 ore), l’idea di affrontare 2 giorni e altrettante notti in sella mi spaventava.
Un rapido consulto con il mio direttore, Simone Lanciotti, e il dado era tratto: lo avrei accompagnato con il compito di studiarne ogni movimento, raccontando il tutto in quest’articolo che state leggendo.
https://www.facebook.com/omar.difelice/videos/263064907739524/
La prima lezione che mi viene impartita riguarda l’utilizzo delle borse da bikepacking: oltre ad affidarsi a dei modelli di comprovata qualità, Omar mi spiega che è fondamentale il modo in cui le si carica e le si monta sulla bici, per bilanciare i pesi al meglio evitando fastidiosi oscillamenti, che comporterebbero un dispendio energetico maggiore.
Dopo aver abbandonato il Lago di Como, ci lanciamo spediti verso gli Appennini, attraversando un lungo tratto pianeggiante di oltre 200 km.
E’ qui che, a ruota di Omar, capisco quanto sia importante la gestione dello sforzo nelle discipline di ultra endurance.
Lo vedo pedalare ad un ritmo moderatamente sostenuto ma, soprattutto, senza alcun cambio di ritmo. Nell’ultra endurance è fondamentale conoscere la propria zona, quella in cui, azionando il metabolismo dei grassi, si è in grado di pedalare per svariate ore senza grandi cali.
Sul far della sera la prima sosta ci serve per una veloce cena a base di pizza (proprio i grassi, di cui parlavo poco sopra, rivestono un ruolo fondamentale nell’ultracycling) ma, soprattutto, per dotarci dell’equipaggiamento notturno.
Omar sfoggia un paio di copriscarpe riflettenti molto simili a due veri e propri fari nella notte, spiegandomi che su strade aperte al traffico è fondamentale rendersi più visibili possibile (a proposito, se il night riding vi intriga, qui trovate degli utili suggerimenti).
Dopo circa 10 ore complessive arriva il momento della sosta: ci fermeremo in un Motel in Val d’Arda, alle porte del primo tratto appenninico.
Omar mi spiega che per i successivi 150-200 km non troveremo molto altro e che è più saggio fermarsi qui qualche ora, prima di ripartire.
Una volta entrati mi viene fatto cenno di mettere sotto carica tutte le device (smartphone, luci, gps, ecc) e sbrigarmi a fare una doccia, spegnere tutto e addormentarmi per le pochissime ore di sonno concesse.
L’ottimizzazione dei tempi di Omar è qualcosa di simile al meccanismo di un orologio svizzero!
Al mio risveglio, 4 ore dopo, ancora con gli occhi chiusi e molta stanchezza addosso, nel vedere Omar in piedi pronto a ripartire riesco a chiedergli solamente come diamine possa aver fatto a vivere questi ritmi per oltre 11 giorni alla recente Transiberica bike race, gara ultracycling di 3.500 km (considerando che, come testimoniato dal suo racconto, la prima e l’ultima notte si è affidato ai microsonni, la tecnica di addormentarsi fugacemente non oltre i 25’).
La sua unica risposta risiede in un sorriso.
Un sorriso che ho imparato a conoscere bene ed è molto simile ad un “hey, sei anche fortunato che ci siamo fermati, avremmo potuto tirare dritto! Sbrigati e andiamo”.
Partiamo a digiuno, Omar mi spiega che un suo grandissimo fan, Roberto, sapendoci in zona ha insistito affinché passassimo a trovarlo per una veloce colazione.
Resto stupito da quanta premura ci sia in Roberto: ci accoglie quando ancora la luna è alta in cielo, facendoci parcheggiare le bici e offrendoci una squisita crostata fatta in casa.
Lo salutiamo velocemente non prima di aver incartato la crostata residua.
Iniziamo a salire lungo il Passo del Pellizzone da Lugagnano Val d’Arda, la prima salita di un trittico appenninico che comprenderà anche Passo Santa Donna e Passo del Brattello.
La magia dei colori dell’alba si mescola con quella dell’autunno.
Osservo Omar mentre pedala silenziosamente, si spoglia in discesa, scatta foto e gira brevi clip video.
E’ incredibile notare la quantità di cose che riesce a fare contemporaneamente pedalando: se fino ad oggi avevo sempre ammirato il gesto atletico dei grandi campioni, con Omar mi rendo conto di quanto sia difficile e diverso il mestiere di chi “fa avventura”.
Scesi nuovamente verso il mare ci concediamo un veloce pranzo ad Aulla, dove commetto l’errore di dire ad Omar che non ho mai visto la Torre di Pisa.
Neanche il tempo di parlarne che i cartelli stradali mi fanno capire la direzione presa da Omar.
Procediamo in fila indiana, io alla sua ruota, studiandone i movimenti e seguendo il percorso che, di volta in volta, decide di intraprendere.
Ed è questo il bello: so che, per sicurezza, abbiamo una traccia prestabilita, ma Omar mi rivela poi di averla tracciata solamente per poter dar modo ai fan di seguirlo tramite il tracker GPS di cui è dotato.
In realtà più volte usciremo dalla traccia liberamente, affrontando deviazioni come questa che ci porta in men che non si dica all’ombra della Torre di Pisa.
Tempo per un gelato, alcune foto e si riparte velocemente.
Il tramonto, alle spalle del Monte Serra martoriato dai recenti gravi incendi, è il momento in cui inizio a domandarmi dove dormiremo.
A grandi linee dovremmo essere a 300 km da Roma, forse è il momento di fermarci ma…
E’ qui che, durante una veloce sosta per il cambio di abiti e l’accensione delle luci, scopro un post in cui Omar, sulla sua pagina, dichiara che non ci fermeremo a dormire.
Chiedo conferma.
La risposta è la solita, un gran sorriso.
Come fai a non lasciarti contagiare da tanta simile semplicità? Sono in sella da 16 ore, mi sento tutto sommato bene, ho davanti a me una guida d’eccezione.
Potrei mai tirarmi indietro?
Siamo a Siena, una pausa di circa 45 minuti mi consente di ricaricare un po' le energie. “Mangia bene ora, stanotte non troveremo più nulla fino all’alba! Mi raccomando”. Omar sa come muoversi e quali sono i tempi per farlo. Una crisi notturna potrebbe tramutarsi in un calvario se non prevenuta a dovere.
Ripartiamo, mi sembra di stare bene, finchè non capisco che il mio “bene” non mi consente che di impostare un ritmo regolare, ma senza cambi di ritmo.
Ed è qui che scopro la bellezza dell’ultracycling.
Omar è ancora in grado di accelerare lungo gli strappi della via Cassia, che da Siena ci porta verso l’ingresso nel Lazio.
Un’ulteriore prova di quanto sia diverso il motore di chi fa ultra endurance ed è abituato a esprimere performance per molti giorni e notti consecutivamente.
Nonostante ciò arriviamo ad Acquapendente ed è qui che Omar mi sorprende ancora. Mi fa cenno di essere stanco, ha perso il conto di quante nostop e quante notti insonne abbia trascorso durante il 2018. “Ho bisogno di un microsonno, fermiamoci sotto quella pensilina”. In circa 30 secondi lo vedo crollare per risvegliarsi 25 minuti dopo e ripartire come se nulla fosse.
L’ultima sosta ce la concediamo a circa 50 km da casa. Un buon forno attira i nostri nasi e le nostre gambe. “Mangia, perché gli ultimi 40 km potrebbero essere i più difficili”.
Scoprirò che non esiste affermazione più vera di questa: il racconto degli ultimi, devastanti, 30 km della Transiberica non mi aveva convinto, finché non ho potuto provare sulla mia pelle cosa significhi trovarsi a 35 km da casa senza più alcuna energia.
Tra una volata improvvisata e una battuta, però, sono riuscito ad arrivare a Roma.
Omar si ferma, giusto 1 minuto. Per lui è come essere sceso dalla fermata della metropolitana e sono sicuro che se gli proponessi qualche diavoleria la accetterebbe ripartendo all'istante.
Io, in cuor mio, sento l’orgoglio di aver spostato un po' più in là i miei limiti.
Ci guardiamo come si guardano due amici che sono appena rientrati da una sgambata sul classico percorso intorno casa.
Un saluto silenzioso, come gran parte del viaggio, simbolo di reciproco rispetto e orgoglio per aver raggiunto un grande traguardo insieme.
Cosa mi ha spinto ad accettare la sua proposta di accompagnarlo in questa avventura?
La continua ricerca dei miei limiti.
La sensazione di libertà assoluta che solo esperienze del genere ti possono regalare. Non devi pensare a nulla, devi solo pedalare.
La curiosità di conoscere il livello del mio spirito di adattamento e d’improvvisazione in determinate situazioni.
Il sapere, già prima della partenza, di poter imparare come vivere con la passione e il cuore quello che si fa quotidianamente da una persona che ha fatto della bicicletta la sua vita.
E la possibilità di poter sognare ad occhi aperti in un profondo silenzio, combattendo le mie più grandi paure.
Resoconto finale: 835 chilometri, 10 mila metri di dislivello complessivi, 53 ore complessive di viaggio, un riposo di 4 ore la prima notte e le successive 28 ore pedalate no stop.”
Per chi si volesse avvicinare al mondo dell’ultracycling e alle avventure bikepacking ho posto ad Omar le seguenti domande chiedendogli preziosi consigli utili a tutti:
- Quanti e quali sono i dispositivi di illuminazione necessari per affrontare una notturna in bicicletta?
La guida di una bicicletta su strade aperte al traffico è già pericolosa durante il giorno, può diventarlo ancor di più durante la notte. E’ fondamentale avere una buona illuminazione posteriore lampeggiante, e altrettanto adeguata frontalmente.
Io prediligo il doppio sistema frontale: una luce fissa sul manubrio e una frontale sul casco che mi consenta di orientare il fascio luminoso esattamente dove ne ho più bisogno (fondamentale quando si guida in discesa e si ha bisogno di “luce” uscendo da una curva stretta o da un tornante).
Il resto lo fanno un gilet riflettente e quanti più elementi riflettenti sull’abbigliamento che si indossa.
- Come gestisci la navigazione durante le tue avventure di ultracycling, soprattutto quelle unsupported come nel nostro caso?
In questo caso era molto semplice la navigazione, conoscendo la maggior parte delle strade. Per il resto mi affido a una traccia realizzata a casa tramite software come ridewithgps.com avendo cura di verificare tramite una mappa cartacea l’effettiva tipologia di strada che si dovrà percorrere.
Senz’altro ci si troverà sempre a dover affrontare un imprevisto (galleria vietata alle bici non segnalata, deviazioni, lavori in corso, ecc). In tal caso il senso dell’orientamento rimane sempre l’ancora di salvataggio principale.
- Spiegaci meglio il concetto di bikepacking
Il bikepacking nasce dall’esigenza di dotare la bici di un sistema di borse senza modificare la struttura del telaio, con l’aggiunta di supporti per le borse.
Queste, infatti, vengono fissate alla bici mediante un sistema di lacci, fasce ed elastici tali per cui il sistema “bici” risulta un tutt’uno, guadagnando in stabilità e guidabilità (a differenza dei sistemi con portapacchi, molto più pesanti e scomodi).
- Il nostro fisico somiglia molto ad una locomotiva a vapore: per pedalare abbiamo bisogno di combustibile. Come ti alimenti?
Il metabolismo fondamentale nell’ultra endurance è quello dei grassi. I grassi sono un combustibile meno nobile degli zuccheri, ma il serbatoio umano ne ha una capienza elevata, oserei dire quasi illimitata. Grazie al loro impiego si riesce ad esprimere performance per moltissime ore senza mai avere gli sbalzi dovuti dai picchi glicemici.
- Quali sono i capi di abbigliamento necessari per affrontare un’avventura durante questo periodo autunnale?
In autunno il clima può registrare un fortissimo sbalzo di temperatura tra le ore diurne e le notturne (ne abbiamo parlato anche in questo articolo).
Oltretutto è frequente il rischio di temporali e piogge. Per questo il kit base deve comprendere un’adeguata copertura notturna (manicotti, gambali, guanti e una buona giacca termica) oltre ad un kit pioggia.
Suggerisco, poi, come in questo caso, di dotarsi di un pantaloncino di ricambio: quando si pedala 2-3 giorni consecutivamente l’igiene deve essere curata al massimo per evitare l’insorgere di arrossamenti e successive infezioni.
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