Come è perché è cambiata la posizione in bici nel corso degli anni? E’ solo un discorso di aerodinamica o dietro c’è dell’altro? L’atleta amatore fa bene a prendere spunto dal professionista oppure può incorrere in qualche rischio?
Questo articolo mi è venuto in mente qualche giorno fa vedendo una vecchia immagine di Marco Pantani in maglia Carrera. Un’immagine che come sempre mi ha emozionato, ma ha sollevato anche qualche riflessione tecnica.
Pedalava tutto arretrato e con le braccia tanto distese, un po’ come facevano quasi tutti i corridori dell’epoca. E a cascata l’impostazione in sella era più o meno analoga anche nelle categorie giovanili e tra gli appassionati. Esattamente il contrario di quanto vediamo fare oggi alla maggior parte dei Pro’, che viaggiano molto avanzati e raccolti.
Marco andava fortissimo lo stesso, ma notare le differenze con i ciclisti di oggi è stato inevitabile. Così come chiedersi su quali basi sono avvenuti questi cambiamenti, che a giudicare dalle prestazioni e dalle velocità hanno contribuito all’innalzamento del livello medio.
Abbiamo approfondito l’argomento con Niklas Quetri (foto sotto), Laureato in Scienza delle Attività Motorie e Sportive e specializzato in biomeccanica applicata al ciclismo, che lavora fianco a fianco con tanti professionisti.
Se confrontiamo la posizione in bici dei professionisti di oggi rispetto a quella di 20 anni fa notiamo delle filosofie completamente differenti: perché e quali sono stati i principali cambiamenti?
In primo luogo è cambiata la consapevolezza da parte di squadre e atleti. Si riconosce il valore di un approccio scientifico. Il Team Sky fece scuola in questo senso.
Oggi, inoltre, è molto più facile accedere a strumentazioni che permettono di misurare oggettivamente i risultati di certi cambiamenti (vedi galleria del vento, software di analisi, misuratori di potenza evoluti, ndr), mentre qualche decennio fa si operava soprattutto sulla base del buon senso.
Un’altra cosa che è cambiata in ambito biomeccanico sta nel fatto che non ci si concentra più solo sulle misure della bici, quanto sul modo in cui lavora il corpo del ciclista, analizzando atleta e bici come fossero un tutt’uno.
Fatta questa premessa, c’è da sottolineare che gli studi che dimostrano che le posizioni utilizzate oggi sono quelle più corrette risalgono ormai a 20-25 anni fa.
La differenza sta nell’approccio, poiché c’è voluto molto tempo prima che la scienza e la ricerca venissero accettate nel mondo del ciclismo professionistico. L’atleta professionista, sopratutto quello di vecchia scuola, ha paura a cambiare cose che ha fatto per anni e che lo hanno portato fino ad un certo livello.
Ora però stanno arrivando le nuove generazioni, che sono molto più aperte verso idee nuove, comprese quelle in ambito biomeccanico. E quando il professionista fa una cosa, soprattutto se è un campione, a cascata lo fanno anche gli altri.
Se poi devo dirti a livello generale quali sono stati i principali cambiamenti, sicuramente parliamo di proiezione del ginocchio rispetto all’asse del pedale, di pedalata con il tallone più alto, di pedivelle corte, di tacchette più arretrate…
Partiamo dall’arretramento sella. Una volta tutti arretrati, ora tutti avanzati? Perché? Rischi e vantaggi?
Più che di arretramento sella sarebbe corretto parlare di proiezione del ginocchio rispetto all’asse del pedale, poiché la proiezione può cambiare spostando la sella avanti, ma anche lavorando su altri parametri, come l’inclinazione.
Diversi studi hanno mostrato che una proiezione avanzata non aumenta il rischio di infortuni al ginocchio, mentre i vantaggi sono molteplici.
Il primo e più importante riguarda l’efficienza e l’economia del gesto. Più il ginocchio è proiettato in avanti rispetto all’asse del pedale (ovviamente fino ad un certo limite), più il vettore di forza perpendicolare alla pedivella aumenta. In soldoni si riducono le dispersioni ed è possibile sviluppare più potenza con un minore dispendio energetico.
L’efficienza è uno degli elementi chiave che guida la valutazione biomeccanica moderna, poiché è ormai chiaro a tutti che è inutile essere super aerodinamici, ma senza essere efficienti. A livello professionistico l’obiettivo è trovare l’equilibrio ottimale tra questi due aspetti.
Un altro vantaggio della pedalata più avanzata è legato all’apertura dell’angolo tra coscia e busto (che si può ottenere anche accorciando le pedivelle) e che è direttamente correlato al miglioramento delle prestazioni.
Questo aspetto è ben visibile soprattutto negli scalatori: quando spingono in salita non sono più sdraiati e bassi come una volta, ma hanno il busto più alto. In questo modo migliorano la capacità di respirazione in una fase in cui l’aerodinamica conta poco.
Quando poi c’è bisogno, partendo da un angolo dell’anca più aperto, possono flettersi in avanti con facilità e quindi guadagnare qualcosa a livello aerodinamico.
Rimaniamo sulla sella. I corridori di oggi sembrano pedalare anche un po’ più bassi, è corretto?
La posizione cambia da corridore a corridore, ma se vogliamo generalizzare, in effetti gli angoli del ginocchio nel ciclismo moderno rimangono leggermente più chiusi rispetto ad una volta. Il motivo è semplice: in passato erano troppo aperti.
15 anni fa molti dei professionisti che venivano da me pedalavano con la sella troppo alta e con la punta rivolta verso l’alto. In questo modo non spingevano “sopra al pedale”, ma da dietro verso avanti, perdendo un sacco di efficienza, oltre che iperestendendo diverse articolazioni.
Passiamo all’avantreno. L’impressione è che oggi i corridori abbiano una posizione più raccolta rispetto al passato…
Confermo, sono più raccolti. Ciò deriva sempre dall’aumento della consapevolezza, ma anche dalla disponibilità di materiali, perché diciamo la verità, al giorno d’oggi c’è molta più scelta rispetto al passato.
E' stato dimostrato e accettato che anche con una posizione più compatta si perde poco o nulla in termini aerodinamici, mentre si guadagna in efficienza. In genere, soprattutto in fatto di aerodinamica, l’attenzione è più quella di stare stretti, piuttosto che molto allungati.
Poi, a livello professionistico, la posizione può essere personalizzata anche in base al tipo di atleta.
Mi spiego. Se parliamo di un corridore specializzato nelle fughe, che deve prendere tanta aria, si dovrà prestare maggiore attenzione alla parte aerodinamica. Se invece parliamo di uno che sta nascosto tutta la tappa e aspetta la salita per fare la differenza, andrà meno a ricercare l’estremizzazione aerodinamica.
Ancora diversa è la questione per i velocisti, che devono stare più bassi possibile, perché a quelle velocità ogni millimetro è importante.
Basta guardare come vengono affrontati gli sprint oggi rispetto a 15 o 20 anni fa per capire le differenze.
Hai parlato anche di tacchette e pedivelle, due aspetti più difficili da notare da un occhio non esperto. Cosa è cambiato?
Soprattutto negli ultimi due anni è stata accettata la possibilità di utilizzare una pedivella corta.
Valutando l’insieme atleta + bici è stato dimostrato che lo svantaggio nell’accorciare la pedivella è minimo in termini di espressione di forza, a fronte di una serie di vantaggi a livello neuromuscolare, aerodinamico, di apertura dell’angolo dell’anca.
Qualcuno ha iniziato anni fa a montare pedivelle da 170 mm su strada e da 165 mm a crono. Oggi questa scelta è sempre più diffusa anche perché saprete che atleti di grosso calibro stanno andando in questa direzione.
Chi ci è arrivato prima degli altri ha avuto un vantaggio.
Pedivelle corte e aerodinamica. Quali correlazioni e quali vantaggi?
Per quanto riguarda le tacchette, la richiesta della maggior parte degli atleti è di andare un po’ più indietro di una volta. Anche per questo certe aziende hanno ripensato le suole ed i punti di posizionamento della tacchetta stessa.
In linea generale la tacchetta più arretrata permette di stabilizzare l’articolazione della caviglia e di trasmettere la forza al pedale in maniera più facile e meno dispendiosa. Ergo, puoi farlo per più tempo, in modo più “economico” e quindi arrivare ai momenti importanti della gara più fresco.
E’ un discorso che vale soprattutto per gli sforzi di lunga durata, meno per quelli molto brevi come la pista.
Prima hai fatto un cenno anche all’inclinazione della sella, aspetto spesso sottovalutato, ma molto importante…
Sì, in passato l’abitudine diffusa era quella di posizionare la punta alta perché si cercava di mantenersi fermi sulla sella in modo meccanico. Banalmente, con la punta della sella alta non si scivolava in avanti.
Oggi, invece, sempre ragionando in modo molto generico, si è compreso che è meglio inclinare un po’ la punta verso il basso, perché permette di andare in antiversione col bacino, lavorare meglio con il gluteo e ancora una volta aprire l’angolo dell’anca. Insomma, in estrema sintesi di esprimere più potenza.
Di contro, la lamentela più diffusa è che in questo modo si porta più peso sulle braccia, ma in realtà è solo una questione di adattamento. Chiaramente non si può esagerare, perché altrimenti il carico sulle mani diventa davvero eccessivo, ma orma tutti, o quasi, sono molto più caricati in avanti (vedi Remco nella foto qui sotto).
L’altra cosa che vale la pena sottolineare è la tecnologia che sta dietro le selle e la potenziale personalizzazione che oggi è possibile grazie alla costruzione 3D. Il professionista ha già l’opportunità di avere selle personalizzate, ma a mio avviso in futuro ognuno avrà la “sua sella”, con conseguenti miglioramenti in fatto di comfort e di efficienza personale.
Piccola parentesi sulle bici da crono, dove i cambiamenti sembrano essere ancora maggiori.
Come ho già spiegato, quello che ha dato il via a questi cambiamenti è la possibilità di misurare cosa succede modificando la posizione anche di pochi millimetri. Alcuni atleti sono rimasti impressionati dai risultati ottenuti in galleria del vento facendo qualche minima modifica, che però può dare risultati diversi da persona a persona.
In più, recentemente c’è stato anche un cambio dei regolamenti UCI che ha permesso di estremizzare alcuni concetti.
Oggi l’impostazione è più avanzata e le braccia sono molto più alte e vicine al viso, perché si è visto che ciò non comporta un peggioramento dell’aerodinamica. Nel complesso, si riesce ad ottenere una posizione aerodinamica, ma senza svantaggi in termini di efficienza e comfort.
Un’altra differenza importante riguarda l'approccio al mezzo: in passato si cercava di impostare il corridore sulla bici da crono in modo aerodinamico, ma senza allontanarsi troppo dalla posizione usata su strada per un discorso di adattamento muscolare. Oggi invece si ottimizza la posizione sulla bici da crono per massimizzare le prestazioni e si richiede al corridore di utilizzarla con frequenza perché è qualcosa di diverso dalla strada.
Chiudiamo con una considerazione importante. Anche se non è corretto generalizzare, ha senso per l’amatore andare nella stessa direzione dei Pro’?
Ti rispondo con una domanda: il fatto di mantenere una buona postura nella vita normale, che significa stare bene e non avere dolori, è importante solo per un personaggio famoso o è importate per tutti...?
L’amatore ha tutto il diritto di sfruttare a proprio vantaggio le conoscenze maturate in questi anni, con la consapevolezza che le capacità fisiche non sempre sono uguali a quelle del professionista. E’ chiaro che il concetto di “comodo” per l’amatore è diverso da quello del professionista e il concetto di estremizzare la posizione per l’amatore e diverso che per il professionista. Ma entrambi non devono farsi male e andare in bici nel miglior modo possibile per i loro obiettivi…
Chi è Niklas Quetri
Niklas Quetri è nato a Gemona del Friuli il 24 settembre 1983.
Ha conseguito la Laurea magistrale in Scienza delle Attività Motorie e Sportive presso l’Università degli Studi di Udine e si è specializzato nel bike fitting – biomeccanica applicata al ciclismo
Ha lavorato con diverse squadre World Tour e collabora giornalmente con atleti professionisti e non.
Si occupa di bike fitting e consulenza R&D per le aziende del settore nel suo studio a Rosà (VI).
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Sull'autore
Nicola Checcarelli
Passione infinita per la bici da strada. Il nostro claim rappresenta perfettamente il mio amore per le due ruote e, in particolare, per la bici da corsa. Ho iniziato a pedalare da bambino e non ho più smesso. Ho avuto la fortuna di fare della bici il mio lavoro, ricoprendo vari ruoli in testate di settore, in Regione Umbria per la promozione del turismo in bici, in negozi specializzati. Con BiciDaStrada.it voglio trasmettervi tutta la mia passione per le due ruote.