La credibilità delle prestazioni e quel ciclista che non esiste più
Giovanni Bettini
La credibilità delle prestazioni e quel ciclista che non esiste più
Giovanni Bettini
Il Tour de France 2023 dominato dal danese Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) ha riacceso il dibattito attorno la credibilità delle prestazioni.
Al centro del dibattito, in particolare, sono finite le performance della Maglia Gialla in occasione dell'unica cronometro di questa Grande Boucle, andata in scena il 18 luglio.
Un percorso che non mirava ad assecondare gli specialisti quanto piuttosto gli scalatori.
In occasione della 16° tappa abbiamo assistito a quella che alcuni hanno definito "la prestazione della vita" per Vingegard: 1'38'' il distacco rifilato a Pogačar in poco più di 22 km, ad una velocità media di 41.227 km/h.
Un valore importante la cui portata emerge anche dall'infografica qui sotto.
A questo si aggiungono i tempi di scalata di alcune salite iconiche, con l'ascesa al Col de Joux Plane che ha messo addirittura in pericolo il primato di Marco Pantani: 32'50''.
La sovrapposizione dei record con l'epoca buia dei sette Tour non assegnati, le affermazioni di alcuni addetti ai lavori - «Vingegaard e Pogačar hanno qualcosa, non necessariamente illegale, che gli altri non sanno» - e le analisi W/kg elaborate da Antoine Vayer, ex allenatore del Team Festina (la squadra dello scandalo al Tour 1998), sul suo sito cyclisme-dopage.com hanno finito per aggiungere un bel carico da 90 a favore di quella nube grigia che avvolge la credibilità delle prestazioni.
Di mezzo c'è il progresso, la Scienza, l'evoluzione della bicicletta che spinge sempre più in là la prestazione umana. Un intero sistema che negli ultimi 20 anni ha assorbito cambiamenti esponenziali.
Così per vederci chiaro abbiamo rivolto alcune domande a Diego Bragato, 37 anni, laureato magistrale in Scienza dello Sport e responsabile del Team Performance della Federazione Ciclistica Italiana. Senza dimenticare un passato da ciclista Under 23.
Dietro a certi successi di peso c'è la sua figura...
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- Cosa ne pensi di questo clima chiaroscuro che avvolge le prestazioni?
- È un argomento oggetto di discussione e confronto anche in Nazionale. Nello sport così come nella vita penso che vediamo sempre negli altri un riflesso di quello che siamo noi. In sostanza, se pensiamo che gli altri stiano barando è perché prima o poi saremo noi a farlo. Sposare la cultura del sospetto nasconde risvolti sportivi e culturali pericolosi ed allarmanti. In ballo non c'è solo la credibilità della prestazione, ma soprattutto l'integrità dell'atleta.
- È cambiato il ciclismo o sono cambiati i ciclisti?
- È cambiato tutto: il doping non lo prendo neanche in considerazione. A partire dai primi anni 2000 grazie anche all'utilizzo crescente dei misuratori di potenza la Scienza ha iniziato a far luce sulla preparazione atletica del ciclista. Mi riferisco a studi come questo:
Si sono aperti nuovi schemi d'azione che hanno portato ad indagare la forza come qualità motoria al servizio della resistenza. Oggi vediamo che il lavoro a secco in palestra è diventato componente fondamentale della preparazione di ogni corridore: dallo scalatore al pistard. A fine anni '90 il paradigma era diverso. Esisteva solo il ciclista, le ore di sella e poco altro.
- Sembra quasi che sia scomparsa la figura se vogliamo romantica del corridore...
- Il ciclista oggi non esiste più. Esiste l'Atleta. La nuova cornice è stata definita a livello scientifico e restituisce l'importanza di prospettive e stimoli diversi che a loro volta innescano il miglioramento. La condizione atletica base di un ciclista d'alto livello oggi è di gran lunga superiore rispetto al passato.
Oggi il professionista sale in sella portando con sé capacità motorie amplificate rispetto a 20 anni fa: resistenza, forza, velocità, mobilità articolare. Inoltre i corridori di successo spesso provengono da altre discipline, addirittura da altri sport. Vedi Evenepoel, vedi Roglič. Pogačar a maggio correva a piedi, preparava il Tour anche giù dalla bicicletta. Insomma, diciamocela tutta: in un'altra epoca si sarebbero rotti gli specchi...
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- Stai dicendo che oltre alla componente tecnica nel ciclismo c'è anche una nuova cultura sportiva?
- Assolutamente sì ed anche a livello federale stiamo cercando di far presente ai tecnici l'importanza della costruzione del profilo atletico. Non si tratta solo di multidisciplina. Gli esempi non mancano: Ganna, Viviani, Trentin... Quello che veramente manca è un sistema sportivo che permette all'atleta di approcciare il ciclismo anche a 18-20 anni.
Un sistema che è in grado di convertire il talento sportivo al punto da saltare con più facilità la persona da una disciplina all'altra. Abbiamo un nostro "progetto talenti" come Federazione, ma c'è poca permeabilità con le istituzioni che governano gli alti sport. Cosa che, guarda caso, avviene in altri paesi come la Slovenia o la Danimarca. Serve più qualità nella preparazione e maggiori opportunità.
- Perché è la qualità a fare la vera differenza nel ciclismo di oggi?
- Certo! E la qualità la ottieni grazie alla forza. 15-20 anni fa un velocista con un picco di 1.300 watt riusciva a vincere una volata di gruppo arrivando entro il tempo massimo in un Grande Giro. Oggi di watt per ottenere lo stesso risultato ne servono almeno 1.600.
- Chiappucci ha dichiarato che le tappe del Tour oggi sono quasi delle corse dilettantistiche e che non ci sarà più spazio per una tappa come quella del Sestriere: 254,5 km e cinque grandi salite. Cosa ne pensi?
- Ha ragione. Le tappe si sono accorciate per diversi motivi. Logistica e spettacolo in primis. E attenzione: più la durata della prestazione si riduce maggiore diventa l'importanza della forza.
- Quindi prestazioni esplosive e spettacolari che sembrano battere ogni tipo di record sono fisiologicamente possibili?
- Sì, ma solo se vengono costruite anno dopo anno. Servono occhiali nuovi. Cito un aneddoto: Mondiale di Firenze 2013. Van der Poel vince la prova Junior (foto sotto). Prendo in disparte il CT dell'Olanda per capire il percorso di avvicinamento... Sapete quante gare aveva vinto Mathieu prima del Mondiale? Zero. Questo significa che tutto ruotava attorno ad un obiettivo non al numero delle vittorie della domenica.
Facciamo ancora fatica ad intendere il risultato come parte di un obiettivo che va oltre la singola stagione. Il ciclismo italiano dove conta ancora il numero di vittorie è finito. Il ciclismo internazionale corre per preparare e vincere un grande appuntamento anche nelle categorie giovanili internazionali.
Diego Bragato sarà tra i relatori di Campus Bike Convention. Un'evento di due giorni dedicato che punta a mettere in relazioni esperti ed operatori del mondo del ciclismo.
Qui sotto tutti i dettagli.
Campus Bike Convention: evento formativo su ciclismo e performance aperto a tutti
Le tematiche di questa intervista vengono approfondite in questo testo di cui Bragato è coautore.
Qui sotto un altro libro che ha aperto una nuova frontiera sull'allenamento del ciclista.
Foto in apertura: © A.S.O. / Charly Lopez
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Sull'autore
Giovanni Bettini
"I poveri sono matti" diceva Zavattini. Anche i ciclisti oserei dire. Sono diventato "pazzo" guardando Marco Pantani al Tour de France 1997 anche se a dire il vero qualcosa dentro si era già mosso con la mitica tappa di Chiappucci al Sestriere. Prima le gare poi le esperienze in alcune aziende del settore e le collaborazioni con le testate specializzate. La bici da strada è passione. E attenzione: passione deriva dal greco pathos, sofferenza e grande emozione.