«Per ogni individuo, lo sport è una possibile fonte di miglioramento interiore».
Lo diceva il barone Pierre De Coubertin (foto sotto), padre delle Olimpiadi moderne e dello spirito olimpico. Un olimpismo, all'epoca, ancora monco dove la donna non era considerata adatta a certe discipline sportive oltre al fatto che fu lo stesso De Coubertin a vietarne la partecipazione ad Atene 1896. Ma questa è un'altra storia...
Del barone io prendo il buono (educare, crescere, divenire attraverso lo sport) e lo accosto al mancato rispetto emerso nello sfottò di mezza serata passato ieri in mondovisione.
Olanda-Argentina che si decide ai calci di rigore. Provocazioni, tentazioni, maledizioni, ammonizioni fino al rigore decisivo per l'accesso alla semifinale. Tutte questioni "normali" che fanno parte di un campo, dove per campo s'intende un ambiente intriso d'agonismo e competizione.
Una parola quest'ultima che deriva dal latino cum-petere: dirigersi insieme, incontrarsi (e un po' scontrarsi) per conquistare un obiettivo. Desiderato da molti, ma prerogativa di pochi.
Ogni sforzo, ogni rinuncia (e non sacrificio, gli sportivi in fondo mettono da parte qualcosa per un fine più importante con il sorriso), tesi a dare il massimo. Per arrivare sul gradino più alto.
Sul vero valore della competizione esistono trattati, ricerche e atti di congressi internazionali. La questione è talmente fine da essere oggetto di dibattito accademico.
Quel mancato rispetto andato in scena ieri concede molto e forse troppo. Lo sberleffo di Otamendi con l'avversario olandese attonito, sconfitto, a terra dopo il rigore di Lautaro è l'esempio al contrario. Quello da non seguire, imitare e scongiurare. Per non chiamare la rissa mondiale ed il Codice Disciplinare.
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Meglio Modric che consola Rodrygo sul finale dello stesso film (calci di rigore). Meglio Coppi, Bartali e la borraccia. Meglio Vingegaard che aspetta Pogačar e chiede come sta invece di tirare dritto.
Meglio Moser e Saronni. Piuttosto piccanti al tempo, maturi al punto giusto per un bicchiere di vino e qualche pizzicotto. È il valore dell'altro, in fin dei conti, a definire il peso specifico dell'impresa. In uno scambio di valori reciproco.
E ancora Bardet che abbandona la bici alla Liegi (e la Liegi) e corre nella scarpata per aiutare Alaphilippe...
La fatica offusca le gambe, a volte anche la mente, ma ho come l'impressione che da queste parti la tendenza sia quella di allungare la mano verso il nemico per dire in senso metaforico: "grazie per esserci stato, complimenti, alla prossima".
È questo, in fondo, il vero valore del successo. Imparare a perdere ed a vincere. Naturalmente.
Non so voi, ma io tifo Modric.
E mi tengo il ciclismo con le sue magagne, le mani tese in silenzio in cima alla salita e le pacche sulle spalle anche dopo sette ore (e non 120 minuti) d'inferno... a pedali.
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Sull'autore
Giovanni Bettini
"I poveri sono matti" diceva Zavattini. Anche i ciclisti oserei dire. Sono diventato "pazzo" guardando Marco Pantani al Tour de France 1997 anche se a dire il vero qualcosa dentro si era già mosso con la mitica tappa di Chiappucci al Sestriere. Prima le gare poi le esperienze in alcune aziende del settore e le collaborazioni con le testate specializzate. La bici da strada è passione. E attenzione: passione deriva dal greco pathos, sofferenza e grande emozione.