Anticonvenzionale, ribelle, pungente, una sorta di divo del ciclismo anni '50 e '60.
Di lui Vittorio Adorni disse: «Vedendolo pedalare ti chiedi se la bicicletta è stata costruita per lui o lui è stato creato per la bicicletta».
Tanto freddo e calcolatore in bici quanto amante dei lussi, degli agi e della spensieratezza nella vita di tutti i giorni.
Jacques Anquetil, soprannominato "L'Airone biondo", nacque a Rouen in Normandia nel 1934: di origine contadine, era sicuramente aristocratico nell'animo, come dimostrò in seguito con il suo stile di vita sempre un po' sopra le righe.
Rimasero famose le sue cene a base di frutti di mare e champagne così come il castello che scelse come sua dimora.
Elegante nella pedalata, tormentato nelle vicende sentimentali, eccellente nelle doti atletiche, Anquetil non fu certo uno qualunque.
Si affacciò sulla scena del ciclismo che conta a 19 anni, quando vinse il suo primo Gran Premio delle Nazioni, una corsa a cronometro ora abolita, ma che ai tempi veniva considerata la prova contro il tempo più ambita e prestigiosa.
Anquetil la conquistò ben nove volte, facendo capire quindi quanto fosse formidabile a cronometro.
Nel 1956, al Vigorelli di Milano, strappò a Coppi il record dell'ora.
Un primato che non durò molto e che lo stesso Anquetil ritentò nel 1967. L'impresa gli riuscì anche la seconda volta ma il record non fu omologato perché il corridore normanno rifiutò di sottoporsi al controllo antidoping.
Vinse per ben 5 volte il Tour de France (nel 1957, 1961, 1962, 1963 e 1964) e per due volte conquistò il Giro d'Italia (1960 e 1964).
Per la cronaca, è stato il primo francese a vincere il Giro d'Italia ed il secondo, dopo Coppi, a realizzare la doppietta Giro-Tour nello stesso anno.
Le prove contro il tempo furono la sua specialità, e vinse infatti circa 60 cronometro.
Non fu molto interessato alle Classiche di un giorno, pur centrando nel 1966 la Liegi-Bastogne-Liegi.
C'è un episodio della sua carriera che dà l'idea esatta di come Anquetil amasse i gesti di sfida e le imprese eclatanti: nel 1965 dopo aver concluso vittoriosamente il Giro del Delfinato, gara a tappe di una settimana sulle Alpi francesi, Jacques volò, con un aereo messo a disposizione addirittura dal presidente De Gaulle, a Bordeaux dove, nel cuore della notte, era alla partenza della Bordeaux-Parigi, maratona di oltre 500 km in linea.
E nonostante la stanchezza e il sonno, vinse con uno scatto di orgoglio anche quella gara, regalando spettacolo.
Quella volta a Parigi il pubblico lo accolse con un boato di entusiasmo, lo stesso pubblico che solitamente lo ammirava ma non lo amava e gli "rimproverava" di vincere cinicamente, senza passione, senza un solo gesto sprecato.
Tutto il contrario del suo storico rivale, Raymond Poulidor, che era invece sincero, generoso, combattente e anche un po' sfortunato, dai modi semplici, popolarissimo tra la gente.
I duelli tra i due hanno fatto la storia del ciclismo francese e forse sono stati anche un po' romanzati, con la complicità dei due protagonisti, che si sono adattati ad incarnare i ruoli dell'eroe buono e sfortunato e di quello spietato e vincente.
Uno su tutti: la lotta per la maglia gialla al Tour del 1964.
Sul Puy-de-Dome i due si marcavano stretti, salivano spalla a spalla, uno attaccava, l'altro rispondeva, si controllavano, fino a 900 metri dall'arrivo, quando Anquetil diede segni di cedimento e Poulidor vinse la tappa. Ma non la maglia gialla, che rimase sulle spalle del rivale.
Anquetil, dopo l'ultima crono, si aggiudicò il Tour de France con soli 55 secondi di vantaggio su Poulidor.
Al primo la vittoria, all'altro la popolarità.
Anquetil si ritirò dalle corse nel 1969, a 35 anni, ma continuò a destare attenzione e clamore, non tanto perché diventò commentatore sportivo e poi commissario tecnico della nazionale francese, quanto per la sua vita privata che definire movimentata è giusto un eufemismo...
Come già accennato, Jacques amava la mondanità, le feste, la buona tavola e il vino costoso, gli eccessi e la ricchezza e aveva un atteggiamento sprezzante nei confronti della morale dell'epoca.
La compagna della vita fu Janine, che inizialmente era la moglie del suo medico di fiducia.
Il loro fu un amore intenso, folle, contro tutti e tutto.
Ma, pur di avere un figlio (Janine dopo un intervento non poteva più averne), Anquetil si legò prima ad Annie, la figlia di Janine, e successivamente a Dominique, la cognata di Annie.
Da queste relazioni nacquero Sophie e Christopher.
Dopo una vita vissuta senza freni, Jacques Anquetil si ammalò di cancro allo stomaco e morì a soli 53 anni.
Si racconta (ma chissà se poi è vero) che negli ultimi giorni andò a salutarlo Poulidor e Anquetil, per non smentirsi, gli avrebbe detto: «Raymond, ancora una volta arriverai secondo...»
Per altre storie dei grandi ciclisti del passato, potete consultare questo archivio.
(Le immagini utilizzate nell'articolo sono di Wikimedia e della pagina Facebook dedicata a Jacques Anquetil).
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Sull'autore
Veronica Micozzi
Mi piace leggere, scrivere, ascoltare. Mi piacciono le storie. Mi piace lo sport. Mi piacciono le novità. Mi piace la sana follia che anima i seguaci della bici. E credo di aver capito perché vi (ci) piace tanto la bicicletta, al di là della tecnica, delle capacità, dell’agonismo: è per quella libertà, o illusione, di poter andare ovunque, di poter raggiungere qualsiasi vetta, di poter superare i propri limiti che solo le due ruote sanno regalarti…