Mi è capitato proprio ieri, quando, finito il mio fantastico giro pomeridiano, mi sono trovato a sorseggiare un thé freddo seduto davanti alla mia bici.
In quel momento i pensieri scorrono liberi dentro la testa ed era proprio ciò che speravo accadesse.
La bici riesce a srotolare la matassa dei pensieri ingarbugliati.
Mi trovo a guardare la bici, a fissarla, a indagare i tanti dettagli che già conosco bene, ma che mi catturano, mi rapiscono, anzi, mi ipnotizzano e mi portano lontano.
La guardo, la studio, immagino la dedizione con cui è stata costruita per funzionare così bene e mi compiaccio del mezzo sul quale ho portato a termine questa bellissima piccola grandiosa uscita.
Poi, non so perché, mi parte la malinconia e mi ricordo che imbambolato così a guardare la bici restavo anche da ragazzino.
E guardo la gabbia del cambio, i rapporti e penso a quella volta, quando avevo 16 anni, in cui ho affrontato la salita che da Ponte Gardena portava a Ortisei.
All’inizio è facile, poi diventa una salita arrabbiata.
Arriva al 14% e io, ragazzino sprezzante, l’affrontai con un 41x23 che, all’epoca (parliamo del 1992), era un rapporto abbastanza agile.
Di certo sarebbe stato meglio un 39x23, ma comunque, rispetto ai rapporti di oggi, sarebbe stato comunque troppo lungo e troppo duro per le mie giovani gambe.
E infatti, qualche centinaia di metri prima della fine di quella maledetta salita, mi fermai, addolorato più per l’insuccesso che per i quadricipiti in fiamme.
E rimango con gli occhi sul cambio Shimano 105 della Focus Izalco Max che sto ancora usando.
Quella gabbia così lunga - mi dico - fino a 10 anni fa sarebbe stata impensabile.
Sarebbe stata una cosa strana, non da bici da corsa, ma per cicloturismo.
Una cosa derivata in qualche modo dalla Mtb.
Una cosa inopportuna.
E che, soprattutto, mai sarebbe stata accettata dai ciclisti, anzi, dai puristi del ciclismo.
Da quelli che “sul Mortirolo ci sali solo se hai delle gran gambe”.
Altrimenti non ci vai proprio.
E quel tipo di ciclismo lì era uno sport più di nicchia, uno sport per i pochi esclusivi membri del club dei ciclisti.
Ed ecco un punto cruciale, mi dico.
Ecco come il ciclismo è diventato uno sport da esclusivo ad inclusivo.
Molto, secondo questo ragionamento più o meno strampalato, è dovuto alla lunghezza della gabbia del cambio, a questo banale accorgimento costruttivo che permette al cambio di gestire pignoni fino a 30, 32, 34 denti di grandezza.
E ha permesso a molti di affrontare salite in agilità, laddove, una volta l’agilità era un lusso per pochi veri atleti del ciclismo.
Questo flusso di pensieri mi è sembrato così interessante che, per fissarlo nella testa, decido di parlarne con qualcuno.
Prendo il telefono e chiamo Nicola.
Gliene parlo e mi conferma che negli ultimi articoli, infatti, è un tema che anche lui ha toccato, seppure non in modo così diretto.
«Una volta il Mortirolo con il 39x25 si faceva, ma era una sofferenza e se non avevi le gambe nemmeno ti sognavi di provarci. Se oggi mi chiedessi se farlo con un 39x25 o con un 34x30 ti direi senza dubbio 34x30. E magari riuscirei anche ad andare più forte!».
Quindi l’aumento della lunghezza della gabbia del cambio (ben evidente nell'immagine di sopra) ha cambiato il volto al ciclismo e l’ha reso, finalmente, più accessibile.
Relativamente più facile, di certo non facilissimo, perché sul Mortirolo, comunque, se non pedali su non vai di certo.
Allo stesso tempo l’esperienza maturata con la Mtb, ancora una volta, ha fatto scuola anche in ambito road.
Continuo a posare gli occhi sulla bici che ho davanti a me.
Guardo l’orologio e mi rendo conto che oggi è un bel pomeriggio, non ho troppa fretta (per una volta) e i pensieri continuano a mescolarsi sempre di più.
E ripenso a un video visto su YouTube nel quale Gianni Bugno parla della sua carriera da ciclista nei panni di ex corridore.
Di un’epoca lontana, ormai, della quale però mi sono innamorato in gioventù.
«Quando van bene le cose, le faccio alla stessa maniera. Non serve a niente, ma non le cambio».
Non parla esplicitamente della bici, ma in queste parole ho liberamente visto la ritrosia dei ciclisti nel cambiare le proprie abitudini tecniche.
Se una cosa va in un certo modo e funziona, non si cambia.
Ovvero: se la bici è fatta così e va bene, non si tocca.
Dietro le quinte, intanto, la Mtb stava dimostrando che le cose non stavano proprio così.
Anzi, la mountain bike rispondeva alla domanda: cosa si potrebbe fare per renderla ancora migliore?
Fino a diventare, più o meno consapevolmente, il primo vero laboratorio di sperimentazione della bici, nel quale le idee più ardite e strambe venivano valutate, provate ed eventualmente approvate (a volte frettolosamente), grazie soprattutto alla cultura ciclistica americana priva di preconcetti, di tabu e addirittura di storia.
Quindi, perché non pensare al freno a disco, alla forcella ammortizzata oppure a un telaio in fibra di carbonio (foto in basso)?
Il mio thé freddo al limone è finito.
La cassetta 11-30 dietro e le corone 36-52 davanti sono una combinazione alla quale, oggi, farei fatica a rinunciare e rappresenta un traguardo che la tecnica ciclistica ha faticosamente raggiunto in così tanto tempo.
Insieme a tantissimi altri traguardi di cui vi abbiamo parlato proprio di recente.
E’ vero: non è la bici a fare il ciclista, ma è e sarà sempre il ciclista, grazie al cielo, ma se oggi la bici da strada è diventata così piacevole da guidare è anche perché, pian piano, stiamo diventando sempre più aperti verso le novità.
La gabbia del cambio ne è una testimonianza e di questo, in cuor mio, ringrazio la mountain bike.
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Sull'autore
Simone Lanciotti
Dalla Mtb, alla bici da strada, passando per una e-Mtb e se capita anche una gravel bike. La bicicletta è splendida in tutte le sue forme e su BiciDaStrada.it, di cui sono il fondatore e il direttore, ci concentriamo sulla tecnica, sulle emozioni, sui modi per migliorarsi e soprattutto sul divertimento. Quello che fa bene al cuore, alle gambe e alla mente. Pedali agganciati!