La caduta che ha coinvolto Vingegaard, Evenepoel, Roglič, Vine e, purtroppo, anche altri corridori al Giro dei Paesi Baschi (video sotto) sta continuando a fare discutere. A bocce ferme, bollettini medici alla mano (Jay Vine il corridore messo peggio con tre vertebre fratturate), sembrano emergere in trasparenza le colpe del sistema ciclismo.
Etapa neutralizada… Esperando noticias de los ciclistas implicados, Vingegaard entre los más afectados
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— COPEdaleando (@Copedaleando) April 4, 2024
Ma facciamo un passo indietro.
L'incidente in terra spagnola ha suscitato un clamore tale che la notizia è diventata argomento di tendenza sul web. Nell'ambiente del ciclismo diversi ex hanno espresso la loro opinione oltre ad inviare messaggi di solidarietà: l'ex CT della Nazionale Davide Cassani, Nicolas Roche, Vincenzo Nibali, Mario Cipollini...
Anche le aziende, come ad esempio Bioracer, sono scese in campo con accuse, soluzioni ed un invito al dialogo (vedi news qui sotto).
Proteggere i corridori: Bioracer sta sviluppando abbigliamento con airbag, ma chi lo indosserà?
I media sportivi e generalisti hanno fatto a gara per rilanciare gli aggiornamenti sull'accaduto.
Così il dibattito si è infiammato accogliendo ragionamenti più o meno scricchiolanti.
Il clamore, ha finito per offuscare la realtà dei fatti: da troppo tempo si parla di sicurezza in corsa al netto di quell'imprevedibile mix di rischio e fatalità che è sale ed allo stesso tempo condanna di uno sport che si fa sulla strada.
La storia recente con le prese di posizione tardive dell'UCI, i regolamenti applicati in maniera elastica e le visioni poco lungimiranti non rendono giustizia prima di tutto a chi questo sport lo fa e lo ama: i corridori.
Sono troppi i punti che non coincidono e non convincono. Noi ci limitiamo "a leggere" il nostro, ovvero, la bicicletta e la tecnica applicata ad essa.
Il quadro non è confortante.
Le colpe del sistema ciclismo: i cerchi hookless
Le cadute di Thomas De Gendt (5° tappa dell’UAE Tour), la critica di Adam Hansen (Presidente dell’associazione internazionale dei corridori professionisti, CPA) ed il successivo incidente di Johannes Adamietz alla Strade Bianche hanno portato l'UCI a diffondere un comunicato sull'argomento.
In maniera indiretta (e forse inconsapevole) è l'UCI stessa ad ammettere una certa "latitanza".
«L’UCI riconosce, inoltre, che il rispetto degli standard ISO da parte di squadre e corridori è reso più difficile dal fatto che i produttori basano le loro raccomandazioni per la compatibilità tra pneumatici e cerchi sulle raccomandazioni fornite dall’European Tyre and Rim Technical Organisation (ETRTO), i cui parametri non sempre sono allineati agli standard ISO».
Servono due circostanze negative e la levata di scudi dell'Associazione di categoria per rilevare che gli standard ISO (e quindi i regolamenti) non vengono rispettati?
È evidente che la normativa ETRTO è più "elastica" e permissiva e contribuisce a creare confusione (QUI un approfondimento).
Non ci meravigliamo: in questo scenario le interpretazioni non adeguate ed i potenziali rischi sono dietro l'angolo.
L'integrità delle bici
Chi ispeziona e certifica la sicurezza della dotazione tecnica dei team (bici e ruote in primis)?
Ne avevamo già parlato in questo approfondimento.
I controlli sulle leve ruotate al Tour Down Under: si sta perdendo la ragione?
In un ciclismo sempre più veloce e tecnologico, che in alcuni casi contempla l'utilizzo di fibra di carbonio HM (High Modulus) e/o UHM (Ultra High Modulus, modulo elastico >500 GPa) per creare strutture leggere e performanti, chi controlla l'integrità dei telai nel corso della stagione?
L'occhio dei meccanici, lo scrupolo del corridore, la buona sorte?
L'UCI sa che nelle bici di alta gamma man mano che il modulo elastico aumenta la struttura diventa più rigida, ma allo stesso tempo più fragile rispetto ad eventi avversi?
E ancora: un telaio in fibra di carbonio può avere potenziale vita utile infinita, ma non è immune alla delaminazione (foto sotto) una volta messo su strada, ovvero, il distaccamento parziale o totale degli strati.
Questo distaccamento, una volta scongiurato il difetto di fabbricazione, può avvenire a diverse profondità a seguito d'impatti rimanendo talvolta nascosto all'occhio umano.
Una condizione rischiosa che nei casi più drammatici innesca il cosiddetto "effetto vetro": il cedimento improvviso del materiale (foto sotto).
Certo, la sicurezza dei corridori passa anche per un'impugnatura agevole della leva freno in ogni posizione e condizione, ma non basta.
In altri sport che contemplano l'utilizzo di un mezzo (es. vela, automobilismo, motociclismo) i controlli sulle strutture in fibra di carbonio sono serrati.
Ok parliamo di altri budget, ma la sicurezza ha un prezzo?
Un ciclista "nudo" a 80 km/h è diverso rispetto ad un pilota lanciato a 300 km/h protetto da una cellula di sicurezza?
Siamo veramente sicuri che i costi e la logistica siano così proibitivi da non provare nemmeno a ridurre il margine d'errore con un monitoraggio periodico di telai e ruote tramite i raggi X e i Controlli Non Distruttivi?
Il pensiero di Marc Madiot, General Manager Groupama-FDJ (foto sotto), non fa altro che rilanciare la questione: «Oggi, siamo più sicuri in una Formula 1 a 300 km/h che su una bicicletta al Tour de France».
QUI la news completa.
Le colpe del sistema ciclismo: la decelerazione
"Imparare dai migliori". Si dice spesso anche nel ciclismo.
Il che non vuol dire copiare, ma declinare "su misura" e a proprio vantaggio soluzioni applicate altrove.
Di mezzo c'è sempre la Formula 1.
Sapete che dal 2016 la FIA (Fédération Internationale de l’Automobile) ha introdotto l’obbligo per i politi d'indossare auricolari dotati di accelerometro (foto sotto) per monitorare la forza degli impatti in sinergia con l’Accident Data Recorder (ADR) che raccoglie i dati di altri due sensori FIA presenti in vettura?
Tre punti di raccolta dati per una visione globale, o meglio, totale. Dati sul mezzo e dati sul pilota all'interno della macchina nel medesimo istante convogliati in un'unica banca dati.
L'implementazione di questo sistema è oggi più facile ed economico rispetto a dieci anni fa. Non a caso nel 2021 la FIA stessa ha sviluppato un registratore dati d'impatto (IDR) a basso costo dedicato a tutte le competizioni di base (foto sotto).
La mancanza di dati sugli impatti, secondo la FIA, non permette di «imparare da un incidente per migliorare la sicurezza».
La Formula 1 inizia ad avere una campionatura rilevante da giocare a favore della sicurezza. Nel ciclismo questa base non c'è. Perché?
Eppure abbiamo produttori di caschi - come Abus - che "affogano" nella calotta dispositivi di sicurezza dotati di accelerometro.
Quali forze hanno dovuto contrastare Vingegaard, Vine e tutti gli altri nel momento in cui hanno arrestato la loro folle corsa sull'asfalto e oltre ai Paesi Baschi?
Cose serve al corpo umano per spingere forte sui pedali e resistere al tempo stesso a questi stress? Quali forze hanno impattato sulle loro bici? Quelle stesse bici, anche se apparentemente integre, possono essere riutilizzate?
Il casco è sufficiente a garantire protezione o è necessario intervenire anche su altri fattori (es. abbigliamento)?
Stiamo perdendo l'ennesima occasione.
Trovare la fortuna nella sfortuna, dati utili, concreti e certi per muovere riflessioni ponderate orientate allo scopo.
Se è vero che "la tecnologia deve essere subordinata al progetto e non il contrario" così come dichiarato dall'UCI nel Lugano Charter (uno dei documenti che sancisce i principi tecnici del ciclismo moderno) vien da dire che è giunta l'ora di rimboccarsi le maniche.
Le colpe del sistema ciclismo: i caschi da crono
Il casco da crono Giro Sport Design, utilizzato dal Team Visma | Lease a Bike in occasione della Tirreno-Adriatico, ha suscitato l'attenzione degli addetti ai lavori ed una certa ilarità sui social.
Seppur su scala ridotta e con movente diverso la vicenda è assimilabile alla caduta ai Paesi Baschi.
Il "rumore" attorno all'evento ha finito per offuscare ciò che veramente conta: l'apertura di un'indagine UCI sui caschi da crono.
«[...] il loro utilizzo solleva una questione significativa riguardante l’attuale e più ampia tendenza nella progettazione dei caschi da cronometro, che si concentra più sulle prestazioni che sulla funzione primaria di un casco, vale a dire garantire la sicurezza del corridore in caso di caduta»
Ma come?
È stata proprio l'UCI ad autorizzare l'utilizzo in competizione del casco Giro Sport Design fino al 17 gennaio 2025...
Senza dimenticare che l'uso di un prototipo in gara non viene mai concessa ad occhi chiusi, ma sulla base di disegni e documentazione fornita dal produttore all'UCI.
Produttore che oltre alla trafila burocratica si deve accollare ogni responsabilità in tema di sicurezza e controllo qualità.
Dove inizia e dove finisce la sicurezza?
SafeR
L'UCI solo il 30 giugno scorso ha annunciato l'istituzione del comitato indipendente SafeR (SafeRoadcycling) formato dai delegati delle associazioni di categoria: UCI, organizzatori, ciclisti e cicliste professioniste, direttori sportivi, gruppi sportivi maschili e femminili.
QUI il comunicato.
«[...] una risposta diretta alla tendenza all'aumento degli incidenti che si verificano nel ciclismo su strada professionistico maschile e femminile».
Nella nota emerge la collaborazione con l'Università di Ghent (Belgio), una delle prime realtà accademiche a monitorare e studiare l'incidenza e l'eziologia degli infortuni nel ciclismo su strada agonistico (QUI lo studio del 2016).
Il ruolo dell'Internet Technology and Data Science Lab (IDLab), istituto di ricerca dell'Università belga, nell'ambito del progetto COURSE (Creation Of Uci Race Safety Enrichments), è quello di raccogliere elementi utili agli organizzatori per creare gare più sicure.
Il prof. Steven Verstockt con la sua squadra in mancanza di una banca dati sta cercando di riavvolgere il nastro passando in rassegna le notizie condivise su X (ex Twitter), da corridori, squadre e organizzatori in merito a cadute e incidenti in corsa.
Non si tratta di un lavoro facile. Ai ricercatori dell'Università di Ghent auguriamo buon lavoro. C'è da chiedersi però se davvero stiamo ottimizzando tempi, risorse e capitale umano a favore della sicurezza.
In conclusione
La lista delle colpe del sistema ciclismo riconducibili alla massima istituzione potrebbero essere più lunghe.
Nel mezzo ci sono tanti aspetti da tenere in considerazione che andremo ad approfondire: l'evoluzione dei materiali, le radioline (spesso veicolo di esasperazione, "state davanti"), i punteggi con promozioni e retrocessioni, l'ascesa delle giovani generazioni un po' più spregiudicate rispetto al passato.
E ancora...
L'abuso di stimolanti (es. caffeina, vedi le dichiarazioni di Nicolas Roche), un'aggressività che porta ad infilarsi in quel varco a tutti i costi senza mordere il freno, i cali d'attenzione (fisiologici) quando si è sempre al massimo.
Tra le colpe del sistema ciclismo ci mettiamo anche le mancanze di noi media che questo sport lo raccontiamo sotto l'aspetto tecnologico e non.
Affannati nel trovare gli ultimi aggiornamenti, troppo morbidi a tratti per lasciare il segno e innescare le dovute pressioni ai piani alti per il bene comune.
"Cadere fa parte del ciclismo come piangere fa parte dell'amore", disse un grande del passato come Johan Museeuw.
Passare dalle stelle alle stalle in un manciata di secondi, rischiare la pelle e nel peggiore dei casi morire è un'altra cosa.
QUI tutti i nostri approfondimenti sulla sicurezza.
QUI tutte le ultime news riguardanti l'UCI.
Foto in apertura: @primozroglic/saltwire.com/Unipublic_Sprint Cycling Agency
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Sull'autore
Giovanni Bettini
"I poveri sono matti" diceva Zavattini. Anche i ciclisti oserei dire. Sono diventato "pazzo" guardando Marco Pantani al Tour de France 1997 anche se a dire il vero qualcosa dentro si era già mosso con la mitica tappa di Chiappucci al Sestriere. Prima le gare poi le esperienze in alcune aziende del settore e le collaborazioni con le testate specializzate. La bici da strada è passione. E attenzione: passione deriva dal greco pathos, sofferenza e grande emozione.