La bici è una macchina del tempo.
Passano gli anni, il mio corpo cambia e cambiano i mezzi su cui mi ritrovo a pedalare.
Cambia la posizione, cambia la scorrevolezza, cambia la guida, cambia tutto.
Eppure, non cambia niente.
La sensazione delle gambe che girano e dell’asfalto che scorre sotto le ruote è qualcosa che ha il sapore di casa.
Quante volte ho varcato la soglia di casa, e quante ho agganciato gli scarpini e ho dato il primo colpo di pedale. Ogni volta io. Tutto diverso attorno, ma io, sulla mia bici, sono ancora in qualche modo lì.
La bici è una macchina del tempo, perché sono io oggi che pedalo su strade che stanno diventando familiari dopo che la mia vita è cambiata completamente da due anni a questa parte.
Ma sono sempre io che pedalo verso scuola a diciassette anni, decisa a non prendere quell’autobus puzzolente insieme a tutti gli altri. A costo di portarmi un cambio dentro l’Invicta e di rischiare di essere investita sulle strade nebbiose dell’inverno romagnolo.
Sono sempre io, che cerco di capire come si usano gli attacchi degli scarpini, e che giro in cortile sull’erba agganciando e sganciando i piedi fino a farlo diventare un gesto automatico. Ho vent’anni e ho appena comprato la mia prima bici da corsa, e non ho ancora idea di dove mi porterà.
Sono io, che vado a cercare le salite più dure a fine giornata per liberare la testa dai pensieri e vedere se in mezzo al caos si accende una lampadina. Ho trent’anni e sto lasciando un lavoro che amo per uno che mi serve, e la bici sta diventando la mia migliore amica.
E poi sono io, che spingo sui pedali senza pensare a nient’altro che non sia lasciare meno spazio possibile tra la mia ruota e quella del mio gregario. Mentre i polmoni bruciano e faccio pace con quelle gambe grosse che non mi sono mai piaciute ma oggi mi faranno vincere in volata.
E sono io, che ho lasciato il lavoro che mi serviva per tornare a inseguire i sogni che non vogliono morire. Ho passato i quarant’anni e qualcuno mi prende per matta ma ho imparato che basta concentrarsi sul prossimo colpo di pedale per zittire le paure della strada che manca da fare.
Ogni volta che salgo sulla mia bici è oggi ed è tutti i giorni in cui lei c'è stata. Tutte le persone che hanno pedalato per un tratto con me e tutti i giorni in cui sono stata da sola. È come chiedere a me stessa come sto.
Sono io, ed è lei. Che non dà consigli, non chiede e non sa - anche se a volte sembra che sappia più di me - ma risolve.
QUI trovate altre storie di strada pubblicate su Bicidastrada.it
Condividi con
Tags
Sull'autore
Silvia Marcozzi
Vivo da sempre in equilibrio tra l’amore per lo studio e le parole - ho due lauree in lettere e un dottorato in lingue - e il bisogno di vivere e fare sport all’aperto. Mi sono occupata a lungo di libri e di eventi. Dieci anni fa sono salita su una bici da corsa e non sono più scesa, divertendomi ogni tanto a correre qualche granfondo. Da poco ho scoperto il vasto mondo dell’off-road, dal gravel alla Mtb passando per le e-Mtb, e ho definitivamente capito che la mia sarà sempre più una vita a pedali.